Intervista a Stefano Dall'Osso

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Questa settimana vi presentiamo il lighting designer  italiano Stefano Dall'Osso che ci ha dato l'opportunità di intervistarlo. I suoi lavori spaziano dal lighting design puro al design industriale, con apparecchi illuminanti dal disegno semplice ed elegante. Ovviamente Italia, poi Regno Unito, Repubblica Ceca, Malta, fino ad arrivare negli Emirati Arabi, il valore di Dall'Osso è riconosciuto ed internazionale. Proprio a Dubai si trova un'altra sede del suo studio per espandere il proprio raggio d'azione e lanciarsi verso altre sfide. 

Quello che più ci ha entusiasmato di Stefano Dall'Osso è la considerazione del suo lavoro non come una scienza esatta, ma come un organismo vivente. Le sue opere sono fatte essenzialmente di una materia effimera come la luce, un insieme di particelle e non altro, ma il suo modo d'intendere il lighting design si può accostare, come approccio, ad una stesura di una poesia: mutevole, vitale ed emozionante. I suoi lavori respirano e vivono – è il caso di dirlo – di luce propria. Invitiamo tutti i nostri lettori a seguire Stefano Dall'Osso sulla sua pagina di Homify.it

Sig. Dall'Osso, com’è diventato lighting designer? Qual è stato il suo percorso professionale?

«Mi sono formato all’interno delle aziende leader del settore della produzione di apparecchi illuminanti, sia in qualità di tecnico, sia di responsabile, perché quando ho cominciato questo lavoro non esisteva la figura professionale del Lighting Designer e non era previsto un percorso professionale definito per chi volesse intraprendere questa professione. Ho poi trasferito il mio know-how nel settore della distribuzione di materiale elettrico e illuminotecnico, dando il via a un’intensa attività di progettazione che ha caratterizzato poi tutta la mia carriera. Ho progressivamente conquistato spazi sempre più ampi e dato vita a specifiche e innovative “Light Division” dove ho coltivato idee alla base del bagaglio culturale delle mie successive esperienze. L’obiettivo professionale più ambizioso e a cui tengo maggiormente è quello di diffondere la cultura della luce. Posso affermare che la mia professione mi ha permesso di spaziare dalle consulenze, ai progetti industriali e alle soluzioni artistiche, e che la strada più intrigante e complessa da percorrere è sempre quella dello sviluppo comunicativo incentrato sull'utilizzo della luce. È proprio per favorire la comunicazione e formazione in materia di luce, nel corso degli anni mi sono dedicato alla docenza presso vari istituti e atenei».

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Quanto ritiene sia importante la luce per definire un ambiente?

«La luce è il più potente e straordinario materiale per l’architettura. L’architetto, quando realizza qualcosa, può utilizzare numerosi materiali, dalla pietra, al cemento, al legno, ma il risultato che ha è un qualcosa di statico e unico. Grazie alla duttilità e modularità della luce si possono invece creare multipli dello stesso luogo, si può dare vita ad uno spazio e modificarlo. L’alternarsi di luce e ombra crea dinamismo e permette di esaltare gli spessori, restituire la tridimensionalità degli oggetti e suggerire l’identità di un luogo anche di notte. La luce è qualcosa di straordinariamente importante; permette di creare atmosfere, suscitare emozioni, rendere accoglienti e vivibili gli spazi personali e collettivi. Una corretta visione è fondamentale, sia nei luoghi di lavoro, sia negli spazi dedicati al tempo libero. Inoltre, la luce artificiale ci permette di dilatare i tempi del mondo, da continuità a ciò che solo la luce del sole sa fare e prolunga la fruibilità di un luogo anche nelle ore serali».

Da cosa o da chi trae ispirazione?

«La mia fonte di ispirazione è l’architettura stessa, perché l’architettura è forma, luce e colore. Il mio obiettivo è quello di integrare la luce nell’architettura affinché diventi parlante, luminosa ed emotivamente coinvolgente, senza distogliere l’attenzione tramite apparecchi illuminanti vistosi e ingombranti. Nel ruolo di product designer, un’altra musa ispiratrice è la natura: per creare qualcosa di “bello”, nulla deve essere inventato. Tutte le forme più perfette sono già esistenti in natura, dove ogni elemento è in proporzione aurea: tutto è riconducibile a linee e porzioni di cerchi in perfetta armonia tra di essi, senza bisogno di ricorrere a forme complesse. Gli apparecchi illuminanti da me disegnati prendono spunto dalla geometria descrittiva, hanno uno stile essenziale e minimalista: la luce deve sempre rimanere la principale protagonista».

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Quale stanza della casa stimola maggiormente la sua fantasia?

«Tutti gli spazi di una casa sono unici e stimolanti perché in ogni abitazione vivono persone e personalità uniche. Sicuramente gli spazi più interessanti sono quelli in cui la famiglia si riunisce, come la zona living; sono gli spazi in cui la famiglia vive ed eleva alla massima potenza il suo essere famiglia».

Con quali materiali preferisce lavorare?

«Posso dire che l’unico materiale con cui lavoro è la luce: il materiale per l’architettura più plasmabile e versatile tramite il quale è possibile trasformare un luogo e generarne molteplici partendo dallo stesso. Le molteplici funzioni lo rendono, inoltre, un elemento indispensabile per permettere un’ottima visuale, esaltare i dettagli architettonici, garantire la sicurezza di un luogo e suscitare emozioni tramite scenari luminosi. L’apparecchio illuminante è il mezzo che mi permette di diffondere la luce, non il fine; spesso nei miei progetti gli apparecchi illuminanti scompaiono dalla vista, si integrano completamente nell’architettura, interferendo il meno possibile sul contesto in cui vengono installati. Quando non si può evitare l’esposizione a vista o quando anche l’estetica dell’apparecchio ricopre un certo ruolo, cerco di utilizzare materiali altamente tecnologici e non tradizionali: per scegliere sempre il giusto prodotto mi tengo aggiornato sulle ultime novità e tecnologie introdotte sul mercato da parte delle principali aziende produttrici di apparecchi di illuminazione».

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Quale progetto ha richiesto più impegno da parte Sua? Qual è stato il progetto più particolare a cui ha lavorato?

«Durante la mia carriera ho realizzato oltre 1000 progetti e ho disegnato più di 100 apparecchi di illuminazione in esecuzione speciale. Tutti i progetti ai quali mi sono dedicato sono unici, ma quello che più di tutti per me rappresenta un vanto è la Co-Cattedrale di San Giovanni a La Valletta, uno dei più importanti edifici di culto del Mediterraneo. In questo progetto ho speso tutta la mia esperienza accumulata negli anni precedenti per riuscire ad ottenere il risultato che mi era stato richiesto. Nell’illuminare un luogo di culto come questa chiesa, con un valore simbolico, liturgico e architettonico, l’intervento illuminotecnico aveva come obiettivi il fornire un supporto funzionale alla preghiera, il restituire i valori architettonici e artistici della Co-Cattedrale che ospita molti capolavori scultorei e pittorici, tra cui la Decollazione di San Giovanni Battista del Caravaggio, e il consentire le visite a turisti e studiosi. Per arrivare a questi risultati ho progettato un nuovo sistema d’illuminazione e tutte le apparecchiature che rendono possibile questa atmosfera luminosa sacrale ed evocativa».

Ritiene che la Sua professione in Italia sia sottovalutata?

«Assolutamente sì. La figura del “progettista illuminotecnico” in Italia esiste da tempo, ma non riesce a trovare libero sbocco sul mercato e, molto spesso, non gode del giusto riconoscimento. Il problema più evidente è che in Italia i produttori e rivenditori di apparecchi illuminanti, che non sono professionisti dell’illuminazione bensì commercianti, utilizzano impropriamente la parola “progetto illuminotecnico” per arrivare a finalizzare un business. Purtroppo, in Italia la cultura della luce non decollerà mai per colpa delle lobby professionali di architetti e ingegneri che fanno ostruzionismo nei confronti delle nuove figure professionali».

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Qual è la nazione dov’è maggiormente apprezzata la Sua professione?

«Nel Middle East. Qui la figura del Lighting Designer è molto apprezzata e ricercata e il mercato della luce trova la sua massima espressione, sia per la ricchezza dei luoghi, sia per la continua crescita e il costante sviluppo del settore edile. Tutti i più grandi della progettazione illuminotecnica sono presenti in quest’area».

Ha mai sentito parlare della Luminale di Berlino? Cosa pensa di questi tipi di manifestazioni?

«Da attento attore del mondo della luce conosco questo tipo di manifestazione. Penso che ogni occasione di diffondere la cultura della luce sia un’occasione straordinaria; quello che non approvo è il fatto che dietro la cultura della luce sono troppo presenti le figure dei produttori e le aziende di apparecchi illuminanti, mentre questo tipo di attività dovrebbe essere completamente svincolata dai condizionamenti commerciali. Questo è uno dei concetti principali che puntualmente ribadisco ai miei studenti dell’Accademia di Belle Arti di Macerata dove insegno al corso di Progettazione di interventi territoriali e urbani per la luce».

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È in procinto di iniziare qualche progetto di cui ci vuole parlare?

«Sì, sto per cimentarmi nel progetto del Museo Vela di Ligornetto. Il progetto illuminotecnico consentirà ai visitatori di vivere il luogo e godere della piacevole atmosfera ricreata nei vari ambienti anche durante le ore serali, prolungando il piacere di visitare il museo e soffermarsi ad ammirare le opere d’arte. Gli obiettivi del progetto saranno quelli di valorizzare l’estetica del manufatto architettonico, conferendo al museo un’immagine immediatamente riconoscibile e inequivocabile, ed esaltare la bellezza delle opere d’arte, che beneficeranno di una luce estremamente mirata e curata in grado di far emergere i materiali e le forme. Questo permetterà ai visitatori di vivere il museo non come un ambiente convenzionale, ma come un luogo di scoperta dove provare emozioni, grazie anche alla predisposizione di regie luminose personalizzate in funzione di eventi e di particolari mostre».

Ringraziamo Stefano Dall'Osso per la Sua cortesia.

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